Diventano, tra le altre, di competenza esclusiva dello Stato: coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro pubblico; disposizioni generali per la tutela della salute; sicurezza alimentare; tutela e sicurezza del lavoro, nonché le politiche attive del lavoro; l’ordinamento scolastico, l’istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica.
Siamo arrivati al punto di introdurre una norma di estremo dettaglio pur di attaccare la capacità di far politica delle Regioni. Il comma 2 dell’art. 40 riguarda i gruppi politici presenti nei consigli regionali. La norma introduce un divieto di corrispondere ai suddetti gruppi consiliari “rimborsi o analoghi trasferimenti monetari” con oneri a carico della finanza pubblica, vale a dire a carico delle regioni o di qualsiasi altro ente pubblico. Con questa norma i gruppi politici non potranno, probabilmente, più usufruire di collaboratori e tecnici vedendo così limitate, se non annullate, le capacità di azione politica.
Nasce poi quella che qualcuno ha definito molto propriamente la clausola – vampiro. Il comma 4 dell’art. 117 recita: “Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. A nessuno può sfuggire che l’intera architettura del riparto delle competenze legislative viene svuotata della propria carica prescrittiva, potendo essere derogata a giudizio insindacabile, vista anche l’estrema genericità dei presupposti, da uno dei soggetti lo Stato appunto, violando peraltro il principio della gerarchia delle fonti, in quanto con legge ordinaria si andrebbe a mutare un dettame costituzionale.
Contano meno anche i cittadini. Le firme da raccogliere per una proposta di iniziativa popolare passano da 50 a 150 mila e, per il referendum, da 500 a 800 mila, in cambio dell’abbassamento del quorum.
I falsi risparmi sulle Regioni
Afferma il Presidente del Consiglio che con la riforma non ci saranno più i vitalizi, il Presidente della Regione cesserà di guadagnare più del Presidente degli USA e i gruppi non avranno più soldi per pranzi e cene.
Balle, balle e ancora balle!
Dopo il decreto legge 174/2012, che Renzi non conosce o finge di non conoscere, e che le regioni hanno dovuto recepire è accaduto questo:
- i vitalizi non ci sono più;
- gli stipendi dei consiglieri regionali sono fissati, uguali per tutti, con legge nazionale e il presidente della Regione guadagna certamente meno del moralizzatore, Matteo Renzi;
- i gruppi consiliari hanno ora in dotazione il 7/8% delle risorse economiche che avevano durante il periodo degli scandali, servono esclusivamente per le spese d’ufficio e sono sottoposte a regole strettissime.
Regionalismo differenziato. E’ stato detto che il rafforzamento della propria specialità, da perseguire con materie aggiuntive ai sensi del 3° comma dell’art. 116, possa essere una risposta della Regione che intende rafforzare il proprio profilo all’interno dello Stato, una risposta in reazione al forte processo di riaccentramento dei poteri normativi operato dalla riforma costituzionale.
Questa disposizione è, sino ad oggi, rimasta inattuata e la sola Lombardia ci ha provato, in data 3 aprile 2007, con la Risoluzione n. 5 (pubblicata nel Burl del 23 aprile 2007 – D.c.r. 3 aprile 2007 n. VIII/367 Risoluzione concernente l’iniziativa per l’attribuzione alla Regione Lombardia di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costtutuzione) che prevedeva di avviare un confronto con il Governo per ottenere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in dodici materie (tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; tutela dei beni culturali; organizzazione della giustizia di pace; organizzazione sanitaria; ordinamento della comunicazione; protezione civile; previdenza complementare e integrativa; infrastrutture; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; università: programmazione dell’offerta formativa e delle sedi; cooperazione transfrontaliera; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale), non è successo niente.
Oggi ci riproviamo e per questo vogliamo il consenso del popolo lombardo.
Per questo abbiamo voluto con forza che il Consiglio regionale, in data 17 febbraio 2015, deliberasse, a maggioranza dei due terzi, di indire referendum consultivo per l’espressione del voto sul seguente quesito : “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.116, III comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato ?”
Noi ci crediamo ancora! Ci crede anche il PD lombardo? Ci crede anche il Governo che ha voluto questa riforma, o ha conservato la norma, seppur riducendola, solo come specchietto per le allodole? Vedremo…
Riforma illegittima. Noi pensiamo che la riforma sia non solo pessima nei contenuti, ma anche illegittima.
L’at.138 della Costituzione testualmente recita: “ Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare, quando entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali….”
Poiché vengono modificati ben 47 articoli su 139 visto e risulta assolutamente impossibile applicare l’istituto del referendum confermativo, di cui all’art.138, con una riforma così ampia e complessa, poiché i cittadini potrebbero, legittimamente, essere favorevoli ad alcuni mutamenti e completamente contrari verso altri, riteniamo che non siamo di fronte ad una mera revisione della Costituzione, bensì ad una vera e propria riforma, che intacca i principi costituzionali, e che il Parlamento non è legittimato a fare, dovendosi invece riservare questo potere ad una Assemblea costituente.
La riforma viola, in ogni caso, la prima parte del dettato costituzionale che all’articolo 5 testualmente recita: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
Poiché la Corte costituzionale ha affermato con la sentenza n. 1146 del 1988 (più volte ribadita) di essere competente a giudicare la costituzionalità delle leggi costituzionali e di revisione costituzionale nel caso esse violino “i valori supremi su quali si fonda la costituzione italiana” invitiamo il Presidente Maroni, qualora la riforma costituzionale dovesse essere confermata dal referendum, a promuovere l’impugnativa della norma innanzi alla Corte costituzionale.
Diverso il caso delle ultime riforme costituzionali.
Nel corso del 2001 è stato modificato il titolo V della parte seconda della Costituzione (la parte dedicata a comuni, province e regioni) attraverso l’introduzione di nuove norme che hanno determinato un sostanziale ampliamento dei compiti e delle funzioni attribuite a questi soggetti. Le modifiche costituzionali sono state sottoposte a referendum confermativo e cittadini hanno espresso la loro volontà a favore dell’introduzione di questa riforma il 7 ottobre 2001.
Appare interessante sottolineare come questa riforma, che va nel senso diametralmente opposto di quella che stiamo esaminando, sia stata fatta, anche quella, da un Governo e un Parlamento di centro-sinistra. Insomma fanno e disfano a colpi di maggioranza, sempre al grido: abbiamo la Costituzione più bella del mondo!
Bocciata invece nel referendum confermativo tenuto il 25 e 26 giugno 2006, la riforma del centro-destra che istituiva il Senato federale della Repubblica, riduceva il numero complessivo dei parlamentari, snelliva l’iter di approvazione delle leggi, attribuiva maggiori poteri al premier e dava alle Regioni competenza legislativa in materia di sanità, scuola e polizia locale. Una riforma, a mio avviso, molto più equilibrata ed efficace nel bilanciamento di poteri tra Stato centrale e Regioni.
Last but not least la riforma è stata approvata da un Parlamento illegittimo, eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale da una Corte che ha testualmente dichiarato che si era “rotto il rapporto di rappresentanza”.
Conclusione
Tutto quello fin qui detto sarà del tutto ininfluente nel dibattito pro o contro la riforma costituzionale in occasione del referendum confermativo. Il testo partorito dall’ex capo dei vigili urbani di Firenze, Antonella Manzione, non sarà preso realmente in considerazione, perché al Presidente del Consiglio non gliene importa niente di quello che contiene. Per Renzi non è una riforma ma un atto di forza da mettere sul tavolo: con me o contro di me!
Il premier dichiara che se dovesse perdere il referendum si dimetterà. Come tutti sappiamo non c’è nessun nesso tra governo e referendum. Si tenta però di intimorire chi volesse votare No. Perché, si sa, dopo Renzi può esserci solo il diluvio! Dello stesso parere il poco autorevole e competente ministro per le Riforme Costituzionali (sic!) Maria Elena Boschi.
Nota a margine
Tra coloro che si sono schierati contro la riforma ci sono 11 ex presidenti della Corte costituzionale, 5 ex vicepresidenti e un giudice.
Nella squadra del no:
Francesco Amirante (magistrato ed ex Presidente della Corte costituzionale), Antonio Baldassare (costituzionalista ed ex Presidente della Corte costituzionale), Franco Bile (ex Presidente della Corte costituzionale), Francesco Paolo Casavola (ex Presidente della Corte costituzionale), Riccardo Chieppa (ex Presidente della Corte costituzionale), Ugo De Siervo (professore ordinario di diritto costituzionale ed ex Presidente della Corte costituzionale), Gianmaria Flick (già Ministro della Giustizia ed ex Presidente della Corte costituzionale), Ettore Gallo (ex Presidente della Corte costituzionale), Valerio Onida (già professore ordinario di diritto costituzionale ed ex Presidente della Corte costituzionale), Alfonso Quaranta (ex Presidente della Corte costituzionale), Gustavo Zagrebelsky (professore ordinario di diritto costituzionale ed ex Presidente della Corte costituzionale)
Ah uno a cui piace la riforma c’è: Giuliano Amato, quello che nella notte tra il 9 e il 10 luglio del 1992 prelevò il sei per mille da tutti i depositi bancari !
Afferma Matteo Salvini nel suo ultimo libro:
La controriforma Renzi, che smantella tutte le autonomie, rischia di farci precipitare non tanto nella terza, quanto piuttosto nell’ultima Repubblica. Quella in cui rimarranno in piedi solo delle istituzioni relitto, parole svuotate di ogni possibilità di intervento autonomo, mentre tutto il potere si coagulerà nella filiera delle prefetture, la stessa che oggi disciplina la gestione dei profughi senza alcuna trasparenza, a colpi di affidamenti diretti, con infiltrazioni mafiose di cui probabilmente le inchieste giudiziarie non ci hanno raccontato che la punta dell’iceberg.
Fortunatamente i padri costituenti, che venivano da vent’anni di dittatura e conoscevano molto meglio di noi i pericoli delle riforme legali a colpi di maggioranza, hanno previsto il passaggio referendario per le modifiche della Carta costituzionale.
Quello sarà il giorno dei giorni per la nostra democrazia, perché saremo chiamati a decidere non tra destra e sinistra, ma tra democrazia e servitù, tra autonomia e assistenzialismo, tra territori e palazzi, tra produttori e parassiti.