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Lombardia, presentato il Comitato per il NO al referendum costituzionale e le sue ragioni

Milano - E' stato presentato questa mattina a Palazzo Pirelli, sede del Consiglio regionale lombardo, il Comitato per il no al referendum costituzionale. Nel corso della conferenza stampa sono intervenuti i capigruppo della Lega Nord, Massimiliano Romeo e della lista Maroni, Stefano Bruno Galli. comitato no


“Si tratta di una riforma illegittima – ha affermato Galli - , proposta e discussa dalla direzione nazionale del Pd, sostanzialmente ratificata dal governo guidato dal terzo premier consecutivo non eletto dai cittadini e approvata, dopo ben tre letture complete, da un parlamento assolutamente non titolare del potere costituente, visto che la legge elettorale con la quale è stato eletto è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale. Un intervento così radicale nella Carta, finalizzato a rivedere ben 47 articoli su 138, richiedeva la convocazione di un'Assemblea costituente, titolare esclusiva del mandato di mettere le mani nella Costituzione repubblicana. Il potere costituente è un elemento essenziale della sovranità popolare, dunque è un pilastro della democrazia repubblicana. Per tale ragione la riforma ha un deficit di democrazia all'origine e deve essere respinta”.


“Se passa la modifica della Costituzione voluta da Renzi – ha aggiunto Romeo - , Regione Lombardia sarà svuotata sia di competenze sia di risorse per il nostro territorio. La riforma conferisce poteri enormi al Premier e distrugge ogni forma di autonomia e di decentramento. Le Regioni diventeranno una sorta di grandi prefetture, che dovranno unicamente obbedire. Il tutto per concentrare il potere nelle mani di pochi, con il risultato che i cittadini saranno ancora più sudditi”.


Le RAGIONI del NO: la nota del Comitato


Nota generale. Riguardo al Referendum confermativo della riforma costituzionale, al centro del dibattito politico e che si terrà in autunno, solo il 20% degli elettori dice di aver capito esattamente di cosa si parla.


Meglio! Devi capire solo che se voti contro la riforma sei vecchio, conservatore, gufo, professorone e favorevole alla “casta”. Sì, perché questa riforma elimina lo stipendio ai Senatori ridotti a cento, cancella il Cnel e asfalta finalmente le odiose Regioni. Certo … non si toccano gli emolumenti di tutti gli altri (deputati ed esecutivo), si conferiscono poteri abnormi al Premier, il Parlamento risulterà sottomesso alle iniziative del Governo, per effetto congiunto con la legge elettorale la Corte costituzionale e il Presidente della Repubblica cadranno nella sfera di influenza del Presidente del Consiglio, si distrugge ogni forma di autonomia e, perfino di decentramento, ma questi, per la demagogia renziana, sono dettagli insignificanti. Forse addirittura dei meriti.


Sono, a questo proposito, estremamente attuali le parole di Dossetti:


“La mia preoccupazione è che si addivenga a un referendum, abilmente manipolato, con più proposte congiunte, alcune accettabili, altre del tutto inaccettabili, e che la gente totalmente impreparata e per giunta ingannata dai media non possa distinguere e finisca per dare un voto favorevole complessivo sull’onda del consenso indiscriminato a un grande seduttore, il che trasformerebbe un mezzo di democrazia in un mezzo emotivo e irresponsabile di plebiscito”


Un accenno particolare per l’elezione del Presidente della Repubblica. Lo faranno deputati e senatori, come ora, ma con una differenza importante. Oggi il Presidente è eletto con una maggioranza di due terzi dell’assemblea nei primi tre scrutini, con la maggioranza assoluta dal quarto in poi. In futuro, se la riforma sarà approvata nel referendum, non sarà più così. Nei primi tre scrutini resta valida la maggioranza di due terzi dell’assemblea, dal quarto in poi si passa ai tre quinti dell’assemblea, ma la vera novità della riforma scatta a partire dal settimo scrutinio: da questo momento in poi basterà la maggioranza assoluta non più dell’assemblea, bensì dei votanti. In altri termini, se al settimo scrutinio dovessero votare solo 20 fra deputati e senatori, a eleggere il Presidente basteranno 12 voti.


Ma veniamo più dettagliatamente all’impatto avrà questa riforma che modifica ben 47 dei 139 articoli della Costituzione.


Fine del bicameralismo perfetto. Nasce un Senato della Repubblica (non più Senato delle Autonomie come era nella prima stesura) composto da 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da 5 senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica.


Ci hanno raccontato che con questo nuovo Senato ci sarà un bilanciamento tra la progressiva sottrazione di competenze legislative regionali e il recupero di responsabilità rappresentativa regionale a livello nazionale.


Sono balle! Il ruolo del Senato è estremamente limitato, con una relazione estremamente debole con le istituzioni regionali e un ruolo decisamente defilato nel procedimento legislativo, anche se rimangono pur sempre 22 categorie di leggi bicamerali. Qualcuno ha paragonato il nuovo Senato alla suocera: elargisce consigli non richiesti! Le funzioni politiche in grado di incidere sugli interessi regionali saranno decisi dalla Camera dei deputati. Il Senato non avrà alcuna autorità. Nessuno vedrà questa come la sede in cui si devono svolgere le trattative e le mediazioni necessarie alla collaborazione tra i due livelli di governo (Stato e Regioni).


Il ruolo del Senato ne esce ridimensionato, ma a prezzo di una notevole dose di complicatezza procedurale. I percorsi base del procedimento legislativo sono 4, ma le ipotesi procedurali che possono verificarsi sono una decina.


Va poi osservato che mentre la Costituzione afferma la centralità del Parlamento, si va ora verso la centralità dell’esecutivo. Si dovrebbe invece pensare ad un Governo che si preoccupa di avere nelle Camere un interlocutore vivo e responsabile anziché cercare di dominarle. L’opera di emarginazione del parlamento si completa con l’approvazione dell’Italicum che garantisce in ogni caso una maggioranza parlamentare, anche contro la rappresentanza reale.


Una nota particolare per l’art. 70.


Il testo originario recita: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”


Il testo novellato: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’art. 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma. Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione.


I Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera dei deputati.”


Alla faccia della semplificazione!!! Che Dio ce la mandi buona…. se il testo dovesse essere approvato.


Ci hanno anche detto che si riducono i costi. Poiché la struttura del Senato rimarrà la stessa ed i nuovi Senatori dovranno percepire un rimborso spese di trasferta, il risparmio, realisticamente, sarà solo dell’8,8 per cento e ammonterà a circa 48 milioni annui. Al di là di ogni considerazione sugli inevitabili costi della democrazia si ricorda che il nuovo aereo di Renzi ne costa, da solo, 15.


Riduzione del contenzioso Stato/Regioni. Altre balle! Ci è stato spiegato che il sistema delle competenze concorrenti era fonte di un costante contenzioso in materia di competenze tra lo Stato e le Regioni, quindi sono state eliminate.


A dire il vero questa scelta mi sembra frutto della totale assenza di una cultura dell’autonomia nella gran parte della classe politica italiana, quindi per evitare i conflitti si è deciso di eliminare uno dei contendenti, le Regioni appunto.


Entrando nel dettaglio tecnico va peraltro osservato che le materie non sono altro che delle “etichette” che negli anni hanno avuto bisogno di una costante opera interpretativa della Corte costituzionale. Appare infatti evidente che qualsiasi problema le istituzioni siano chiamate ad affrontare (ambiente, energia, commercio, istruzione, infrastrutture, occupazione o altro) non rientrerà mai completamente in una determinata “materia”: quindi senza una leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali il contenzioso continuerà. Il nuovo art. 117 attribuisce potestà legislativa allo Stato in ordine a: disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica; disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; sistema nazionale e coordinamento della protezione civile. Bene se le disposizioni generali sono di competenza dello Stato, quelle di dettaglio sono di competenza delle Regioni: senza una leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali il contenzioso continuerà.


Riforma centralista. Da quanto visto sino ad ora emerge con forza che non è stata minimamente presa in considerazione l’ipotesi che la maggiore efficienza, democraticità e flessibilità del sistema e il migliore coordinamento di governo potessero passare per una valorizzazione delle autonomie anziché una loro compressione.


L’assetto regionale della Repubblica uscirebbe, da questa riforma, fortemente indebolito attraverso un riparto di competenze che alle regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul piano finanziario e fiscale. Si lascia, peraltro, del tutto intatto l’ordinamento delle regioni a statuto speciale.


Il superamento delle competenze concorrenti, come abbiamo detto probabilmente inutile al fine di ridurre il contenzioso, porta ad un riaccentramento statale della responsabilità legislativa.

Diventano, tra le altre, di competenza esclusiva dello Stato: coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro pubblico; disposizioni generali per la tutela della salute; sicurezza alimentare; tutela e sicurezza del lavoro, nonché le politiche attive del lavoro; l’ordinamento scolastico, l’istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica.


Siamo arrivati al punto di introdurre una norma di estremo dettaglio pur di attaccare la capacità di far politica delle Regioni. Il comma 2 dell’art. 40 riguarda i gruppi politici presenti nei consigli regionali. La norma introduce un divieto di corrispondere ai suddetti gruppi consiliari “rimborsi o analoghi trasferimenti monetari” con oneri a carico della finanza pubblica, vale a dire a carico delle regioni o di qualsiasi altro ente pubblico. Con questa norma i gruppi politici non potranno, probabilmente, più usufruire di collaboratori e tecnici vedendo così limitate, se non annullate, le capacità di azione politica.


Nasce poi quella che qualcuno ha definito molto propriamente la clausola – vampiro. Il comma 4 dell’art. 117 recita: “Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. A nessuno può sfuggire che l’intera architettura del riparto delle competenze legislative viene svuotata della propria carica prescrittiva, potendo essere derogata a giudizio insindacabile, vista anche l’estrema genericità dei presupposti, da uno dei soggetti lo Stato appunto, violando peraltro il principio della gerarchia delle fonti, in quanto con legge ordinaria si andrebbe a mutare un dettame costituzionale.


Contano meno anche i cittadini. Le firme da raccogliere per una proposta di iniziativa popolare passano da 50 a 150 mila e, per il referendum, da 500 a 800 mila, in cambio dell’abbassamento del quorum.


I falsi risparmi sulle Regioni


Afferma il Presidente del Consiglio che con la riforma non ci saranno più i vitalizi, il Presidente della Regione cesserà di guadagnare più del Presidente degli USA e i gruppi non avranno più soldi per pranzi e cene.


Balle, balle e ancora balle!


Dopo il decreto legge 174/2012, che Renzi non conosce o finge di non conoscere, e che le regioni hanno dovuto recepire è accaduto questo:




  • i vitalizi non ci sono più;

  • gli stipendi dei consiglieri regionali sono fissati, uguali per tutti, con legge nazionale e il presidente della Regione guadagna certamente meno del moralizzatore, Matteo Renzi;

  • i gruppi consiliari hanno ora in dotazione il 7/8% delle risorse economiche che avevano durante il periodo degli scandali, servono esclusivamente per le spese d’ufficio e sono sottoposte a regole strettissime.


Regionalismo differenziato. E’ stato detto che il rafforzamento della propria specialità, da perseguire con materie aggiuntive ai sensi del 3° comma dell’art. 116, possa essere una risposta della Regione che intende rafforzare il proprio profilo all’interno dello Stato, una risposta in reazione al forte processo di riaccentramento dei poteri normativi operato dalla riforma costituzionale.


Questa disposizione è, sino ad oggi, rimasta inattuata e la sola Lombardia ci ha provato, in data 3 aprile 2007, con la Risoluzione n. 5 (pubblicata nel Burl del 23 aprile 2007 – D.c.r. 3 aprile 2007 n. VIII/367 Risoluzione concernente l’iniziativa per l’attribuzione alla Regione Lombardia di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costtutuzione) che prevedeva di avviare un confronto con il Governo per ottenere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in dodici materie (tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; tutela dei beni culturali; organizzazione della giustizia di pace; organizzazione sanitaria; ordinamento della comunicazione; protezione civile; previdenza complementare e integrativa; infrastrutture; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; università: programmazione dell’offerta formativa e delle sedi; cooperazione transfrontaliera; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale), non è successo niente.


Oggi ci riproviamo e per questo vogliamo il consenso del popolo lombardo.


Per questo abbiamo voluto con forza che il Consiglio regionale, in data 17 febbraio 2015, deliberasse, a maggioranza dei due terzi, di indire referendum consultivo per l’espressione del voto sul seguente quesito : “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.116, III comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato ?”


Noi ci crediamo ancora! Ci crede anche il PD lombardo? Ci crede anche il Governo che ha voluto questa riforma, o ha conservato la norma, seppur riducendola, solo come specchietto per le allodole? Vedremo…


Riforma illegittima. Noi pensiamo che la riforma sia non solo pessima nei contenuti, ma anche illegittima.


L’at.138 della Costituzione testualmente recita: “ Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.


Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare, quando entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali….”


Poiché vengono modificati ben 47 articoli su 139 visto e risulta assolutamente impossibile applicare l’istituto del referendum confermativo, di cui all’art.138, con una riforma così ampia e complessa, poiché i cittadini potrebbero, legittimamente, essere favorevoli ad alcuni mutamenti e completamente contrari verso altri, riteniamo che non siamo di fronte ad una mera revisione della Costituzione, bensì ad una vera e propria riforma, che intacca i principi costituzionali, e che il Parlamento non è legittimato a fare, dovendosi invece riservare questo potere ad una Assemblea costituente.


La riforma viola, in ogni caso, la prima parte del dettato costituzionale che all’articolo 5 testualmente recita: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.


Poiché la Corte costituzionale ha affermato con la sentenza n. 1146 del 1988 (più volte ribadita) di essere competente a giudicare la costituzionalità delle leggi costituzionali e di revisione costituzionale nel caso esse violino “i valori supremi su quali si fonda la costituzione italiana” invitiamo il Presidente Maroni, qualora la riforma costituzionale dovesse essere confermata dal referendum, a promuovere l’impugnativa della norma innanzi alla Corte costituzionale.


Diverso il caso delle ultime riforme costituzionali.


Nel corso del 2001 è stato modificato il titolo V della parte seconda della Costituzione (la parte dedicata a comuni, province e regioni) attraverso l’introduzione di nuove norme che hanno determinato un sostanziale ampliamento dei compiti e delle funzioni attribuite a questi soggetti. Le modifiche costituzionali sono state sottoposte a referendum confermativo e cittadini hanno espresso la loro volontà a favore dell’introduzione di questa riforma il 7 ottobre 2001.


Appare interessante sottolineare come questa riforma, che va nel senso diametralmente opposto di quella che stiamo esaminando, sia stata fatta, anche quella, da un Governo e un Parlamento di centro-sinistra. Insomma fanno e disfano a colpi di maggioranza, sempre al grido: abbiamo la Costituzione più bella del mondo!


Bocciata invece nel referendum confermativo tenuto il 25 e 26 giugno 2006, la riforma del centro-destra che istituiva il Senato federale della Repubblica, riduceva il numero complessivo dei parlamentari, snelliva l’iter di approvazione delle leggi, attribuiva maggiori poteri al premier e dava alle Regioni competenza legislativa in materia di sanità, scuola e polizia locale. Una riforma, a mio avviso, molto più equilibrata ed efficace nel bilanciamento di poteri tra Stato centrale e Regioni.


Last but not least la riforma è stata approvata da un Parlamento illegittimo, eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale da una Corte che ha testualmente dichiarato che si era “rotto il rapporto di rappresentanza”.


Conclusione


Tutto quello fin qui detto sarà del tutto ininfluente nel dibattito pro o contro la riforma costituzionale in occasione del referendum confermativo. Il testo partorito dall’ex capo dei vigili urbani di Firenze, Antonella Manzione, non sarà preso realmente in considerazione, perché al Presidente del Consiglio non gliene importa niente di quello che contiene. Per Renzi non è una riforma ma un atto di forza da mettere sul tavolo: con me o contro di me!


Il premier dichiara che se dovesse perdere il referendum si dimetterà. Come tutti sappiamo non c’è nessun nesso tra governo e referendum. Si tenta però di intimorire chi volesse votare No. Perché, si sa, dopo Renzi può esserci solo il diluvio! Dello stesso parere il poco autorevole e competente ministro per le Riforme Costituzionali (sic!) Maria Elena Boschi.


Nota a margine


Tra coloro che si sono schierati contro la riforma ci sono 11 ex presidenti della Corte costituzionale, 5 ex vicepresidenti e un giudice.


Nella squadra del no:


Francesco Amirante (magistrato ed ex Presidente della Corte costituzionale), Antonio Baldassare (costituzionalista ed ex Presidente della Corte costituzionale), Franco Bile (ex Presidente della Corte costituzionale), Francesco Paolo Casavola (ex Presidente della Corte costituzionale), Riccardo Chieppa (ex Presidente della Corte costituzionale), Ugo De Siervo (professore ordinario di diritto costituzionale ed ex Presidente della Corte costituzionale), Gianmaria Flick (già Ministro della Giustizia ed ex Presidente della Corte costituzionale), Ettore Gallo (ex Presidente della Corte costituzionale), Valerio Onida (già professore ordinario di diritto costituzionale ed ex Presidente della Corte costituzionale), Alfonso Quaranta (ex Presidente della Corte costituzionale), Gustavo Zagrebelsky (professore ordinario di diritto costituzionale ed ex Presidente della Corte costituzionale)


Ah uno a cui piace la riforma c’è: Giuliano Amato, quello che nella notte tra il 9 e il 10 luglio del 1992 prelevò il sei per mille da tutti i depositi bancari !


Afferma Matteo Salvini nel suo ultimo libro:


La controriforma Renzi, che smantella tutte le autonomie, rischia di farci precipitare non tanto nella terza, quanto piuttosto nell’ultima Repubblica. Quella in cui rimarranno in piedi solo delle istituzioni relitto, parole svuotate di ogni possibilità di intervento autonomo, mentre tutto il potere si coagulerà nella filiera delle prefetture, la stessa che oggi disciplina la gestione dei profughi senza alcuna trasparenza, a colpi di affidamenti diretti, con infiltrazioni mafiose di cui probabilmente le inchieste giudiziarie non ci hanno raccontato che la punta dell’iceberg.


Fortunatamente i padri costituenti, che venivano da vent’anni di dittatura e conoscevano molto meglio di noi i pericoli delle riforme legali a colpi di maggioranza, hanno previsto il passaggio referendario per le modifiche della Carta costituzionale.


Quello sarà il giorno dei giorni per la nostra democrazia, perché saremo chiamati a decidere non tra destra e sinistra, ma tra democrazia e servitù, tra autonomia e assistenzialismo, tra territori e palazzi, tra produttori e parassiti.


Ultimo aggiornamento: 15/07/2016 00:01:14
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