Trento - Negli ultimi anni si sono accumulate un numero via via crescente di sentenze e ordinanze, anche delle massime Corti, che hanno definito discriminatori alcuni trattamenti che le amministrazioni hanno riservato ai lavoratori a tempo determinato della scuola. Al lungo precariato che in alcuni casi - molti, troppi - rappresenta la cifra della vita lavorativa dei docenti, si aggiungono trattamenti economici e giuridici diversi, penalizzanti e discriminatori che hanno reso e rendono la precarietà del lavoro ancor più insopportabile.
Anche in Trentino questa disparità di trattamento ha tratti incisivi se si pensa che la stragrande maggioranza dei precari, contrariamente a quanto avviene nel resto del Paese, sono assunti con un sistema telematico di assegnazione dei contratti di supplenza detto “chiamata unica” che si svolge nella settimana immediatamente precedente l’inizio della scuola e che fa partire gli incarichi solo col primo giorno di scuola. Questo rappresenta un problema sia dal punto di vista retributivo, dato che i docenti perdono circa un terzo dello stipendio del mese di settembre, sia contributivo, in quanto ogni anno di precariato si viene a creare un buco di contributi. Da anni chiediamo che il sistema della chiamata unica sia anticipato nell’ultima decade di agosto per consentire l’assunzione della maggior parte dei docenti precari col 1° settembre come avviene nel resto d’Italia. Questo, oltre a garantire continuità retributiva e contributiva a molti docenti, consentirebbe loro di iniziare l’anno scolastico dal principio col primo collegio docenti del 1° settembre, assieme ai colleghi dell’istituto a cui saranno assegnati che in molti casi è anche lo stesso in cui prestavano servizio l’anno precedente. Così come da anni chiediamo, anche per via vertenziale, di porre fine alla reiterazione dei contratti a termine e l’assunzione dei docenti inseriti nelle graduatorie concorsuali utili per il ruolo, un gruppo di precari di lungo corso in attesa del posto a tempo indeterminato da moltissimi anni, inseriti in una vecchia graduatoria per titoli utile all’assunzione e che per la loro peculiare “longevità nel precariato” sono gli unici ad essere assunti il 1° settembre. L’amministrazione provinciale non ha mai accolto queste nostre annose rivendicazioni, peraltro senza fornire argomentazioni consistenti.
Volendo fare due conti a spanne, questo intervallo di circa dieci giorni di media che separa il 1° settembre dal primo giorno di scuola, che cade normalmente a cavallo tra la prima e la seconda decade di settembre, comporta per l’amministrazione provinciale un risparmio che supera di certo i due milioni di euro. Il sistema della chiamata unica è un sistema telematico utilizzato remotamente al quale i docenti possono accedere ovunque si trovino, quindi non riusciamo a comprendere il motivo per il quale la procedura non si possa svolgere nell’ultima decade di agosto anziché nella prima di settembre, permettendo a tutti i docenti di prendere servizio dal 1° settembre. Questo consentirebbe di evitare buchi contributivi e retributivi e di iniziare l’anno scolastico in modo più ordinato e meno convulso di quanto avvenga oggi, perché giocando con una settimana/dieci giorni d’anticipo il lavoro di contatto che le segreterie svolgono a scuola già iniziata per coprire i posti rimasti vacanti anche dopo la chiamata unica potrebbe avvenire nella settimana precedente l’inizio delle lezioni, aumentando le probabilità di arrivare al primo giorno con la rosa dei docenti completa o quasi.
L’assunzione dell’incarico col primo settembre non è l’unica disparità. Solo per fare un altro esempio, i docenti con incarichi di supplenza breve, che quindi non riescono a ottenere un incarico annuale o fino al termine delle attività didattiche (30 giugno), non solo rischiano di lavorare a intermittenza durante quell’anno scolastico, ma per il solo fatto di essere supplenti brevi si vedono negare una componente importante della retribuzione, la retribuzione professionale docente (RPD), pari a quasi duecento euro lordi mensili, una cifra non da poco. Si consideri anche che molti di loro, inanellando una serie di contratti, per quanto brevi, riescono a riempire il proprio calendario lavorativo insegnando tutto l’anno scolastico o poco meno. Anche in questo caso vi sono state numerose sentenze e ordinanze della Cassazione che hanno stabilito il carattere discriminatorio della previsione e che l’RPD è una componente fissa e continuativa del salario che deve essere riconosciuta a prescindere dalla durata dell’incarico. Come ogni anno quindi rilanciamo con forza la richiesta all’assessora Gerosa e alla dirigente del dipartimento Istruzione Francesca Mussino per portare maggiore equilibrio in queste come altre disparità contrattuali tra i docenti a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato, sia dal punto di vista economico sia giuridico.