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La Valle Camonica ricorda il comandante Giacomo Cappellini

Il programma della cerimonia a Cerveno

Cerveno (Brescia) - La Valle Camonica ricorda il comandante Giacomo Cappellini. Domani ricorre l'80esimo anniversario della sua fucilazione a Brescia e Cerveno, dove Giacomo Cappellini era nato il 24 gennaio 1909, lo ricorderà in modo speciale.

Alle 14:45 di lunedì 24 marzo, al cimitero di Cerveno, dove Cappellini riposa, si terrà una preghiera e la benedizione della tomba da parte del parroco don Giuseppe Franzoni, con la posa di un omaggio floreale. Quindi, all’entrata del cimitero, i ragazzi delle scuole canteranno una canzone ed esporranno i loro disegni sulla Resistenza.
Interverranno per i saluti istituzionali Luigi Mondoni, sindaco di Cerveno, e Luca Santi, di Anpi Vallecamonica, a nome delle associazioni, ANPI, Fiamme Verdi, Anei, Ecomuseo della Resistenza in Mortirolo che hanno organizzato la cerimonia, in collaborazione con la Scuola Primaria di Cerveno “Giacomo Cappellini”, l’Amministrazione Comunale di Cerveno e con la partecipazione del Gruppo Alpini.

Giacomo Cappellini, comandante del gruppo C8 della Divisione Fiamme Verdi “Tito Speri”, era stato arrestato a Lozio il 21 gennaio del 1945, ferito in uno scontro a fuoco con i fascisti mentre copriva la fuga dell’amico Carlo Sandrinelli “Camara”. Trasportato su un carro a Malegno, quindi a Breno al comando della GNR, fu poi trasferito a Brescia e imprigionato nella torre Mirabella del Castello, che fu la sua prigione fino all’alba del 24 marzo, quando vene fucilato.

Medaglia d'oro al valor militare, Giacomo Cappellini, maestro elementare, "all’inizio della lotta contro l’oppressore nazifascista, abbandonò la sua missione per organizzare una delle prime formazioni partigiane di Valle Camonica, con cui per 17 mesi divise i rischi e le durezze della lotta in un’imboscata tesa dal nemico, fece scudo di se stesso ad un suo partigiano attirando su di sé la reazione avversaria. Ferito al viso e ad una spalla, cessò di far fuoco solo quando la sua arma divenne inerme per inceppamento; catturato, sopportò per due mesi durissimo carcere, continui martiri e inumane sevizie, chiuso nel suo sdegnoso silenzio, senza nulla svelare che potesse danneggiare la causa per cui combatteva. Fu sordo alle lusinghe di aver salva la vita se avesse indotto i suoi uomini alla resa e ad ogni nuova tortura che il nemico rabbioso gli infliggeva, rispondeva sorridendo che i partigiani non sono dei vili. Stroncato dalle sevizie barbaramente inflittegli, esalava l’ultimo respiro gridando: Viva l’Italia!.".
Ultimo aggiornamento: 24/03/2025 01:27:55
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