(…) Questa narrazione ha avuto in me la risonanza di una tragedia greca, la sua potenza, la sua intensità”.
(Petronilla Pacetti)
“L'incendio di Roccabruna è un libro lucido e tragico. Ma lucidità e tragedia, si sa, sono elementi costitutivi della bellezza”. (Filippo Ravizza)
“A me che faccio la psicoanalista un testo narrativo interessa per la modalità percettiva e stilistica insieme della realtà tipica del narratore.
Il testo di Gaccione mi ha interessato per aver proposto soprusi, misfatti, atrocità interni ad una società contadina chiusa, violenta, arcaica, e per averlo fatto con una modalità e uno stile al servizio di una ripetitività coatta dei conflitti tra individui e tra classi, cui gli uomini pare non riescano a sottrarsi”. (Giulia Contri)
“Forse Gaccione, con queste storie estreme, cerca di esorcizzare le sue paure originarie incoraggiando il lettore a fare altrettanto”. (Giorgio Colombo)
“Questo libro evoca il vuoto morale che abita gli uomini: qui castelli e tuguri emanano lo stesso odore di pompe funebri. Pare di vedere le labbra del narratore tremare di sdegno nell’evocare la condizione umana, forse non solo a Roccabruna, in Calabria. A meno che non si interpreti, la potente evocazione di fatti storicamente avvenuti o inventati, come la trascrizione di un sogno nero, di un incubo frenetico”. (Tomaso Kemeny)
“L’autore si esprime con una lingua ricca seppure essenziale, secca e diretta che non si perde in oziose divagazioni letterarie. Sono racconti la cui brevità fulminante permette il raggiungimento d’una tensione estrema”.
(Claudio Zanini)
“Con L’incendio di Roccabruna scendi nel medioevo della tua terra: tra disastri, nefandezze, stragi collettive, uccisioni di uomini e cani, atroci ribellioni di animali, animali che stuprano e mangiano uomini, uomini (sia i potenti, sia i sottomessi) che pensano solo a distruggere e a vendicarsi”.
(Luigi Bianco)
“I racconti, bellissimi nella loro scarna linearità, con un andamento musicale nella pregnante essenzialità del linguaggio, ricercano nella storia di un piccolo paese del Meridione le radici della violenza dei “vinti” che deflagra negando il diritto di vivere a chi è vittima della fatalistica immobilità del proprio destino fino ad esporsi alle vessazioni e allo scherno dei propri pari”.
(Laura Cantelmo)
“Questi racconti bellissimi e potenti mi ricordano Verga e Pirandello, ma anche Stendhal. Al di là della materia, la forza di Gaccione risiede nello stile, nel linguaggio, nella forza poetica delle immagini, nella sua sapiente oralità”. (Vincenzo Guarracino)
“L’incendio di Roccabruna è un libro che prende allo stomaco, un libro che suscita indignazione, ripulsa, ma anche condivisione morale, perché al suo fondo c’è un gridato bisogno di giustizia”. (Edvige Vitaliano)
“La scrittura dove a tratti mi è parso echeggiare il conterraneo Strati de Il selvaggio di Santa Venere, vive di contrasti appassionati, talvolta brutali e spietati, e sin dalle prime battute del libro mi è suonato nell’animo un insolito rintocco, un sapore amaro di sole, terra, sudore, un richiamo verso antiche leggi non scritte, atmosfere metafisiche, grottesche, molto spesso favolistiche e non per questo meno interessanti”. (Graziano Mantiloni)
“(…) Racconti concisi, crudi e poetici”. (Gino Scarsi)
“(…) Un’opera originale, dunque, nel solco della nostra letteratura meridionalistica del Novecento”. (Nino Di Paolo)
“L’incendio di Roccabruna è un libro stilisticamente molto curato e di grande forza espressiva. È composto da 15 storie a tinte forti e, per molti versi, estreme, che l’autore sa condurre con abile e seducente maestria. Gaccione è lo scrittore che più d’ogni altro, in questi anni, ha ridato nobiltà al racconto italiano e difeso come pochi questa difficile forma espressiva. L’incendio di Roccabruna riconferma le sue doti di affabulatore”.
(Premio Franciacorta 2020)
“(…) Una prosa di amplissimo respiro, che induce alla riflessione e alla meditazione”. (Gabriele Ottaviani)
“La lettura de L’incendio di Roccabruna non si lascia nemmeno per un attimo (…) lo sgomento si impone sopra ogni altro sentimento…”. (Iole Mura)
“(…) Un mondo cupo, arcaico, feroce, elementare, dalle passioni estreme, quasi ferine. Un mondo nel quale i rapporti sociali, i rapporti tra dominanti e dominati, sono duri, spietati, feroci, animaleschi quasi, da logica del branco, del gregge, della muta. Dove la parola giustizia o la parola Stato sono nozioni lontane, spesso solo di pertinenza dei dominanti”. (Giorgio Riolo)
“Gaccione sa scavare, pur usando la misura breve del racconto, negli strati più reconditi e crudi degli uomini di Roccabruna, un paese inventato di sana pianta. Inventato forse per dare più risalto alla realtà dei fatti, spesso tragici, magistralmente narrati dall’autore”. (Vittorio Panetta)
“Che siamo racconti veri o inventati di sana pianta poco importa. Qualcosa di simile a quanto descritto è accaduto da che mondo è mondo. La realtà supera sempre ogni fantasia per quanto sbrigliata. Al lettore dopo il brivido resta il piacere di essersi soffermato su una bella pagina. Del resto l’autore non è certo alle prime armi. Numerose le sue pubblicazioni alle quali si dedica dopo aver curato la direzione del giornale di cultura «Odissea». Giustamente il libro ha meritato di vincere la prima edizione del «Premio nazionale letterario e di cultura Franciacorta»”. (Costanzo Gatta)
“Bellissime e superbamente delineate le figure femminili: Donna Clorinda Servidio, femmina vera, carica di una sensualità prorompente tale da «emanare bagliori sensuali esaltanti con le labbra carnose, la figura alta, i capelli sciolti sulle spalle, lunghi e neri, il busto turgido che quasi scappava dal corpetto», sepolta viva per errore o per vendetta…”. (Marzia Borzi)