Gadda è particolarmente attratto dalla bellezza femminile e pare abbia in quei mesi una tresca con una donna di Sonico i cui marito è emigrato in Australia.
Edolo, 2 settembre 1915
Ieri pessima giornata: caldo, stanchezza, litigi, ecc. Rinuncio alla sua descrizione che riuscirebbe troppo uggiosa da scrivere. È venuta a stare nel nostro albergo una graziosissima cameriera del lago di Garda, dai folti capelli castani, altissima, snella; mi propongo di farle la corte non ostante che nell'albergo abitino altri cinque miei colleghi. Oggi marcia al monte Faetto, ma non alla cima. Partiti da Edolo, salimmo per la strada militare d'oltre Fiumicello al passo di Flette, nome pomposo d'una spalla di contrafforte del Faetto, e per meravigliose praterie e castagneti scendemmo a Malonno: qui colazione e allegria. Ritorno con pioggia non forte.
Il "vecchio" Gaddus che quando scrive ha la bellezza di 22 anni usa a tratti il linguaggio che poi ritroveremo nei suoi principali scritti. Traspare dalle sue pagine di autore in erba tutta l'ironia e l'inventiva che poi ritroveremo nell'Adalgisa, nel Castello di Udine, nel Pasticciaccio, nella Cognizione del dolore. Sembra che il divertimento più apprezzato da Gadda sia il giocare con la lingua. Ne abbiamo uno dei primi esempi, se non il primo in assoluto, quando descrive il monte Faeto.
Hodie quel vecchio Gaddus e Duca di Sant'Aquila arrancò du' ore per via sulle spallacce del monte Faetto, uno scioccolone verde per castani, prati, e conifere, come dicono i botanici, e io lo dico perché di lontano guerciamente non distinsi se larici o se abeti vedessi. Ahi che le rupi dure e belle del corno Baitone si celavano nelle nubi, forse per ira della non giusta preferenza data ai rosolacci. Ma è destino che chi vuole non possa, e chi può non voglia. Ora, questo Gaddus amerebbe adunghiare questo Baitone, ma gli è come carne di porco, a volerla mangiare di venerdì: Moisè ti strapazza. Ora, questo è il venerdì, perché è il tempo delle mortificazioni, e Baitone è porco, perché piace, e il generale Cavaciocchi, buon bestione, è Moisè, perché non vuole. E il Gaddus è il pio credente nella legge, e nella sua continova sanzione. Per che detto Duca seguitò per prati e boschive forre la sua buona mandra, che lungo la costa cantò nel silenzio della valle. Cantò la canzone dell'alpino che torna, poi che chi non torna né pure avanza fiato a cantare, e che gli è chiesto come s'è cambiato in viso dell'antico colore: è stato il sole del Tonale che mi ha cambià il colore, rispose l'alpino: e la sua ragazza si contenta. La canzone tristemen¬te si perdeva nella valle, così nebulosa, come s'io l'avessi creata a mia posta, e con il mio immaginare pensavo che per la detta valle risonasse religiosamente un alto corale […] Fin che tragicamente lo scherzo cessa per un romore subitaneo: è il rimbombo lontano della cannonata. E con questo l'onda corale s'accende, improvvisa e totale, come se il vento si levasse d'un tratto nel più forte e generale suo modo: passa per il dolore e il compianto, con pause di sgomento e rincalzi d'angoscia, e si fonde nell'ira, e si perde. Ecco la solitudine delle pareti rupestri, il vano sotto le torri, la nebbia che sale dal profondo come fumo d'una valle senza suolo, il silenzio in cui è lasciato il monte dallo sparire dell'uomo. Questo fu l'immaginare del detto Gaddus, ma il monte era buono e rotondo, con spalle di prati e barbe di castagneti. Sulla più dolce e bassa delle propagini sue si ammucchiano grigie case di petrame, e in mezzo è il castello mal ridipinto con la torre ancor selvaggia, non guasta da cache di pittori a méstoli. Nel detto castello è il trattore con vino; formaggi; e costole di manzo, ch'era stanco d'imbizzirsi al novilunio: e le sue corna mulesche finirono male, di quest'asino, come quelle di molti manzi ribaldi.
S'intrecciano come sempre osservazioni sul paesaggio e sull'uomo sul filo della melanconia e dello sguardo sardonico, della critica ai comandanti e della comprensione per un ruolo difficile e che suscita pochi consensi. Così ci viene restituita dallo sguardo dello scrittore la Val Gallinera:
Ieri marcia in Val Gallinera, quasi fino al passo di Galli¬nera. Fu una mezza odissea. Partimmo da Edolo poco dopo le 4 del mattino (gli uomini si erano levati alle 3) e lungo i costoni di M. Foppa (propaggine dell'Aviolo) raggiungemmo dopo qualche lungo disguido la VaI Gallinera. Vi proseguimmo lungo le pendici dell'Aviolo fino ad una profondità superiore alle Malghe Gallinera (che sono sull'altro versante) e quivi si fece il rancio. Valle grandiosa e bella, ma diavolescamente piena di sole. Il fondo-valle è coperto dagli erratici torrentizi di bellissimo granito (credo tonalite) rovinati dalla cima dell'Aviolo, e dai massi di schisto dell'Aviolo stesso. Dopo il rancio, manovra di sicurezza in marcia, sotto il sole, al riverbero dei graniti, da mezzodì alle due: ora pessima. Io giunsi con le avanguardie fin sotto il passo, ma fu allora comandato il «dietro front.» La truppa era un po' indisciplinata, brontolona, ma marciò molto bene. Con quaranta e più kili in dosso questi uomini si stanca¬rono come me, che non portavo nulla. Vero è che io andavo su e giù, a recare ordini nella manovra, ecc. Il ritorno fu un po' grave, per lo spirito della truppa mal disposto verso il comandante, il tenente Ricci, bestia bisbetica e pasticciona. Ha per altro il merito di fare delle vere marce di montagna e non della caricatura. Io tornai molto stanco, e risentii la stanchezza anche stamane (Edolo, 19 settembre 1915).
La guerra è lontana e si presenta all'attenzione di Gadda solo con l'eco di qualche scoppio e le notizie poco rassicuranti che arrivano dal fronte. Il giovane sottufficiale vorrebbe essere in prima linea e si lamenta della vita oziosa (senza libri!) e del fatto di non essere adeguatamente impegnato dove infuria la battaglia e dove, per un periodo, è di stanza il fratello Enrico. Solo in qualche rara occasione il rumore dei cannoni si fa più vicino.
Accompagnai, col collega Radice, 132 uomini alla Forcella di Montozzo, in due giorni. Le truppe erano mal nutrite e poco resistenti: il primo giorno giungemmo a Pontagna (19 km. circa) il 2° salimmo a Montozzo (2470). Fu una ve¬ra fatica il guidare questi muli […]Edolo, 9 ottobre 1915.
Assorbiti dai compiti e dai doveri militari si presta poca attenzione al tran tran di tutti i giorni e solo di sfuggita si coglie il ritmo della vita quotidiana dei paesi:
Edolo, ancora 26 ottobre Sera. Come sono poco osservatore delle cose che non mi interessano! Da che sono in Valcamonica non ho sentito mai suonare una campana, eppure solo oggi la mia attenzione si fermò su questo fatto. Nessun campanile si anima mai, né a mattina, né a vespro, né durante le feste. La torre di Edolo (alta e massiccia costruzione in granito, di stile rinascimento abbastanza buono) non batte neppur le ore. La valle suona solo del fiume, della ferrovia, degli automobili, delle segherie elettriche, talora del tiro a segno. Quale differenza da quando, remota a ogni civiltà, solo il fiume e qualche campana vi avrà vissuto! La grammatica zoppica, ma poco importa.
Poi finalmente l'agognato salto verso le prime linee. Non è ancora il respiro della polvere del cannone o l'incontro quotidiano con la morte, ma il fronte è lì a due passi e l'inverno bellico nelle fredde stanze prima di Precasaglio e poi del Grande Albergo di Ponte di Legno sfida la resistenza e l'equilibrio del giovane interventista che sfilava a Milano per reclamare l'ingresso in guerra.
La camera che qui abito è a Sud Ovest, la migliore esposizione, a dieci metri dal quartiere, ed è stanza d'angolo con due finestre: è alta poco più di due metri, a quadrilatero irregolare, bianca, pulita, ma molto fredda e senza stufa né camino.
Il padrone, un tirchio montanaro, voleva 1,20 al giorno: m'accordai a stento per L. 1, che è il prezzo di requisizione, già fin troppo elevato. La catinella, piccola, in ferro, con dell'acqua gelida, è posata sopra uno sgabello. Vi è uno specchio, un tavolo, un cassettone, due sedie il letto e il tavolino da notte. Il letto è un'ottomana corta, in cui devo stare rannicchiato. (Precasaglio, 18 novembre).
Alle osservazioni sulle zone visitate attraverso delle marce impegnative si sostituiscono descrizioni delle condizioni ambientali determinate dal freddo. Nel marasma della disorganizzazione Gadda riesce ad individuare anche alcuni aspetti positivi riguardanti l'uso di mezzi di trasporto innovativi e la predisposizione di trincee "assai ben fatte".
Il tempo qui è sereno, secco, e freddissimo: a Vescase, dov'è la truppa di guarnigione del Tonale, si sono raggiunti i 18 cent. sotto lo zero; qui la notte credo si siano passati i 15; gelano i ruscelli, e gli scoli delle strade formano enormi incrostazioni di ghiaccio. Ovunque grosse stalattiti e formazioni botriodali e mammellonari. La valle è asciutta, cosparsa di capannoni in legno, a doppia parete, coperti di tela catramata, assai ben fatti, capaci di 60 uomini e più; rigata da costruzioni stradali e da sentieri recenti; solcata dal Narcanello e dall'Oglio p. d.; talora assordata dai boati delle mine; passeggiata dalle comitive d'uomini e di muli. Queste vanno divenendo meno frequenti a mano a mano che si aprono all'esercizio le filovie. A Montozzo una filovia, al Castellaccio e al Corno di Laghi Scuri sale una teleferica: insomma l'organizzazione va man mano compiendosi. A Vezza d'Oglio, e qui a Ponte pure delle molteplici linee di trincee assai ben fatte e di reticolati sbarrano Valcamonica a un'eventuale irruzione nemica. (Ponte di Legno 27 novembre 1915).
I nomi dei nostri monti lo meravigliano non poco. Ma ancor di più lo colpiscono le differenze tra le abitudini di bresciani e bergamaschi e quelle di militari di altre regioni.
Certi romani e certi toscani, non per parlar male, che faranno anche loro quel che devono, ma vanno su per la neve come un cavallo per una scala a pioli: gli batte il cuore e gli occhi si cerchiano d'un giallo-viola e strabuzzano, in aria di infinita amarezza. Uno, che incontrai in ferrovia, si ammalò al solo vedere la posizione della batteria (Cima delle Gràole) e ottenne sei mesi di convalescenza. Un altro che faceva servizio tra il Corno d'Aòla e Cima Le Sorti, ottenne di andare a Livorno, in una batteria da costa o giù di lì. I nomi di questi siti, tra parentesi sono qualche cosa di raro: una montagna si chiama: I Cacàoni, un'altra Dosso del Faustinelli, un'altra Cima Cady, un'altra Crestone di Re di Castello, un'altra Cima di Casamadre; senza parlarti del passo dei Contrabbandieri, del passo di Laghi scuri e del passo di Ercavallo: un Orlando Furioso. (Lettera scritta al nipote, Emilio Fornasini da Ponte di Legno il 5 dicembre 1915).
Del resto ne "Il castello di Udine", scritto nel 1934 e quindi non sotto l'influenza nervosa delle vicende belliche, Gadda avrà elogi sperticati per i nostri soldati e per i montanari in genere e in Eros e Priapo, violento pamphlet di derisione del dittatore e delle sue patologiche maniacali, scriverà: "Il popolo mi ha offerto i modelli sublimi de' bergamaschi e camuni, de' piemontesi; e certi vecchi e saggi operai che ancora li vedo lavorare: li vedo vivere in un mondo il quale sta già disparendo dalla mia anima come orizzonte in fuga " . Chissà, se quel mondo stava già disparendo negli anni trenta del secolo scorso, che cosa ne scriverebbe oggi.
Le giornate Fai in Alta Valle Camonica faranno ripercorrere un pezzo di storia di quel periodo - Prima Guerra Mondiale - e del grande scrittore Carlo Emilio Gadda.