Breno (Brescia) - La difficile situazione in una classe del liceo Golgi di Breno è all'attenzione dell'Ufficio Scolastico di Brescia. Nove studenti hanno scelto di lasciare il liceo di Breno e si sono trasferiti in un altro istituto, sobbarcandosi dei disagi. I genitori hanno inviato una lettera ai dirigente scolastico e finora non hanno ottenuto una risposta. Ora 60 docenti hanno sottoscritto un documento, prendono posizione, manifestado solidarietà, e pongono l'accento sul modello di scuola. Pubblichiamo le due lettere.
La lettera di Linda Corbelli e di otto genitori
"Egregio dirigente del Liceo Golgi,
trovo corretto, nei confronti dei ragazzi, dei loro docenti e di tutti i genitori, scrivere queste righe per manifestare il mio pensiero e portare alla Sua attenzione (anche se forse questo è un desiderio troppo ambizioso) e a quella dei destinatari in indirizzo ciò che sta accadendo nella classe 2ALSSA del Liceo Golgi.
Scrivo da mamma di un ragazzo che ha lasciato, con molta tristezza e non poche difficoltà, questa classe e il Liceo Golgi, ma mi sento di essere anche la mamma degli 8 compagni che hanno dovuto prendere la medesima decisione in questo ultimo mese, di quelli che sono ancora in dubbio se andarsene o continuare e
di tutti quelli che hanno deciso di restare.
Le scrivo, però, anche da professionista: sono una psicologa che si occupa quotidianamente da più di 15 anni di persone in difficoltà, di ambienti sfidanti e di relazioni complesse.
Infine Le scrivo da ex alunna che, nonostante siano trascorsi 27 anni dal mio ingresso allo scientifico, continua e continuerà a considerare il Liceo Camillo Golgi di Breno la sua scuola. Non per ultimo scrivo da brenese (vivo in questo paese da quando sono nata) che crede molto nella sensibilità delle istituzioni nei confronti del mondo giovanile e dei sistemi formativi.
Circa una ventina di giorni fa ho consegnato alla Sua attenzione la richiesta di un nulla osta per il trasferimento di mio figlio ad altro Istituto, annotando come motivazione della scelta “condizioni psico-didattiche non sostenibili” ma né Lei, né nessuno dei suoi collaboratori si è preoccupato di comprendere cosa io intendessi o di chiedermi una spiegazione.
Nessuno.
E questo, personalmente e professionalmente, lo trovo agghiacciante!
Il Vostro silenzio mi ha molto amareggiata ma non mi ha lasciata basita più di tanto visto che, queste “condizioni psico-didattiche non sostenibili” erano state segnalate già da diversi genitori una prima volta durante un incontro tenutosi pochi mesi dopo l’inizio della scuola lo scorso anno (primo anno per questi
ragazzi), una seconda volta a mezzo mail datata 19 febbraio 2024 e di nuovo durante un successivo incontro alla Sua presenza e a quella del docente di informatica interessato.
In quella riunione abbiamo condiviso le nostre perplessità rispetto all’approccio educativo di un particolare professore; in quella stessa occasione, come genitori, abbiamo dato la nostra disponibilità nel cercare un punto comune che potesse aiutare i ragazzi a migliorare la situazione.
Le nostre richieste di aiuto e i nostri suggerimenti avrebbero dovuto trovare ascolto attento, se ovviamente consideraste i ragazzi e le loro famiglie come il vero valore aggiunto di una scuola e non come un ostacolo da scansare.
Invece ci siamo trovati di fronte ad un insegnante che, seppur dichiarava a parole la sua disponibilità ad aiutare gli studenti fuori dall’orario scolastico in teams, con modalità discutibili ma altrettante discutibili ragioni, attribuiva la responsabilità del problema non a se stesso (nemmeno in parte), ma ai ragazzi di prima Liceo, che non riuscivano a seguire il suo metodo soltanto perché non studiavano abbastanza (e forse non “erano” abbastanza per gli obiettivi della scuola).
Le nostre perplessità lo scorso anno erano emerse in quanto più della metà della classe presentava ripetutamente gravi insufficienze in informatica, difficoltà didattiche nel seguire il professore, oltre che gravi problemi relazionali.
Tengo a precisare che, nel secondo quadrimestre, mio figlio era parte di un piccolo gruppo di studenti che riusciva ad ottenere la sufficienza, per cui descrivo in maniera davvero disinteressata e, di conseguenza, ancor più accorata la situazione.
Credo che la missione di una scuola sia quella di educare e formare gli studenti ancor prima di valutare le loro performance e questo dovrebbe valere sempre, ma a maggior ragione se ci troviamo ancora alla scuola dell’obbligo, alla quale, in caso qualcuno ogni tanto se ne dimenticasse, il biennio appartiene.
Gli scarsi risultati della classe dovrebbero portare un insegnante che si rispetti a valutare e/o rivalutare le sue modalità didattiche, a rallentare il ritmo, a verificare per step l’apprendimento dei suoi alunni, cercando di spronare tutti al raggiungimento almeno degli obiettivi minimi.
Quello che è stato fatto invece è stato far pesare a chi non riesce le sue difficoltà, usando espressioni mortificanti e facendo vacillare la sicurezza degli studenti (adolescenti tra l’altro) non solo da un punto di vista scolastico ma anche personale e psicologico, cosa che trovo ancora più grave.
Ripetutamente ha ribadito a ragazzi e genitori che alcuni alunni avrebbero dovuto andarsene perché non adatti ad un Liceo.
Se è pur vero che ognuno ha le sue predisposizioni ed attitudini e che non ci sono scuole di serie A e serie B (e mi auguro lo pensiate anche voi), resto comunque perplessa che un docente ribadisca ad un alunno, pensando di essere nel giusto territorio educativo, la sua incapacità invece di aiutarlo ad esprimere al meglio
i suoi talenti e a comprendere come valorizzarli.
L’approccio che il professore ha non solo con gli alunni, ma anche con noi genitori è davvero discutibile, sia nei toni, sia nelle modalità (cosa confermata anche da Lei, durante il nostro incontro).
Ancor più discutibile è il rapporto relazionale e verbale avuto con alcuni ragazzi ed alcuni genitori nei colloqui individuali, durante i quali il professore ha proposto come unica soluzione in un caso quella di prendere a calci nel sedere il proprio figlio.
Personalmente ricordo ancora le modalità del mio primo colloquio con il professore, ricordo come mi sono sentita al termine di quell’appuntamento e le infinte domande che ho iniziato a pormi, pensando che, se mi ero sentita così io, una donna di 42 anni con esperienza nel confronto dialogico, non osavo immaginare come potesse quella modalità forte ed aggressiva, impattare su dei ragazzi di 14 anni che si trovavano di fronte in quello scambio per di più il loro insegnante (con tutte le dinamiche di autorità e relazionali che questo comporta).
In un’ottica di collaborazione scuola-famiglia, nella nostra difficoltà di genitori a mediare una simile situazione, abbiamo incontrato Lei, dirigente, che ha dichiarato che, seppur a conoscenza da tempo ormai di una serie di problematiche (visto che non siamo gli unici ad aver sollevato il problema), non sapeva come fare a risolverle, se non proponendoci uno sportello di informatica, per di più con un’altra insegnante (che ovviamente non ha minimamente cambiato le cose).
Questa situazione non solo dopo la nostra segnalazione non è migliorata ma è ulteriormente peggiorata quando, all’inizio di questo nuovo anno scolastico, al professore Lei ha assegnato anche l’insegnamento di Matematica, oltre a quello di Informatica, senza che il docente cambiasse minimamente il suo approccio con
la classe. E non solo non è cambiato l’approccio, ma è stato anche rafforzato da un cambio docenti ingiustificato.
Lei ha deciso di interrompere la continuità didattica (che in questa classe avrebbe potuto e dovuto proseguire) a quei docenti di ruolo che palesemente avevano difeso e supportato i ragazzi, operando un cambio, a mio parere assurdo, ma molto chiaro.
Per cui questa modalità di “prestazione assoluta” dove il voto vale più della persona e le scelte vengono giustificate dall’esigenza di dover alzare continuamente il livello della performance e di conseguenza della scuola, è diventata la modalità didattica del nuovo corpo docenti della classe.
Da genitori abbiamo assistito ed osservato in modo molto netto cosa stava accadendo (inermi ed impotenti); i nostri figli, seppur con grande timore, hanno comunque iniziato l’anno con l’entusiasmo e la volontà che li caratterizza, convinti di poter dimostrare chi sono, ma le loro buone intenzioni si sono scontrate ben presto con il progetto dei nuovi docenti di costruire un’elitè di classe della quale non avrebbero potuto essere parte.
Sono convinta che gli ambienti sfidanti e lo stimolo continuo per questa generazione siano una manna dal cielo, ma solo quando queste sono inserite in un clima di fiducia e di accettazione.
Stimolare i ragazzi a dare sempre di più è una cosa molto bella e utile, se avviene in un ambiente dove si sentono al sicuro, non giudicati, umiliati e messi in costante confronto tra loro, per esaltare chi ce la fa e colpevolizzare chi invece forse non è nel posto giusto.
Come se poi a 15 anni esistesse il posto giusto!
In questo ambiente, che è mortificante ma non potenziante, 8 ragazzi al secondo anno di Liceo hanno ad oggi deciso di andarsene da una classe ben integrata: 8 ragazzi in 15 giorni, a tre mesi dall’inizio della scuola, dopo aver conosciuto comunque le materie e l’indirizzo ed aver affrontato e superato le difficoltà del primo anno.
Lei, Dirigente, potrà tranquillamente sostenere che i ragazzi che sono andati via non erano “adatti” alla vostra scuola (come già si è premurato di dichiarare buona parte dei professori della classe) ma, di fronte a tutto questo, trovo davvero questa frase sterile, assurda e molto triste.
Forse è ciò che vi dite per non guardare negli occhi questi ragazzi che hanno vissuto mesi complessi, difficili, fatti di pianti, ansia e non accettazione di sè e per non incontrare quelli dei loro genitori che sono sempre stati a fianco dei loro figli e li hanno visti pian piano smettere di credere in se stessi, smettere di credere di
potercela fare, smettere di credere che valesse la pena continuare ad impegnarsi.
Io tutto questo l’ho visto, anzi l’ho vissuto, insieme alla vostra indifferenza e alla vostra non troppo celata soddisfazione per una scuola all’interno della quale “vanno avanti solo i migliori”.
Mi auguro che i vostri figli appartengano a questo gruppo di persone e che voi vi sentiate a posto così.
Io preferisco continuare a vedere ragazzi che sbagliano, si mettono alla prova, crescono, in un ambiente dove si sentono accolti e compresi da quegli adulti che dovrebbero insegnar loro la vita prima ancora che le materie scolastiche ma che a volte, più o meno consapevolmente, non fanno altro che rubare sicurezza e sogni.
Le chiederei infine di portare i miei personali ringraziamenti ai professori e alle professoresse che lo scorso anno hanno accompagnato questi ragazzi in modo serio, completo ed accogliente. Perché alla fine la scuola è fatta soprattutto di persone"
Le lettera sottoscritta da 60 docenti
"Alcuni docenti del Golgi esprimono la loro solidarietà alla sig.ra Corbelli.
È stato doloroso leggere in questi giorni la lettera coraggiosa di una madre in merito alla situazione di una classe seconda del nostro Liceo, a seguito della quale abbiamo appreso di una situazione difficile che coinvolge anche studenti di altre classi.
Esprimiamo pertanto la nostra solidarietà agli studenti, alle loro famiglie, e a tutti coloro che, che facendo la stessa difficile scelta, hanno lasciato silenziosamente il Liceo che avevano scelto e nel quale avevano creduto, ed apprezziamo il lavoro svolto all’interno della classe da tanti nostri colleghi che, a fatica, hanno cercato di arginare la situazione, sostenendo e incoraggiando gli studenti.
Quella che viene segnalata nella lettera non è la nostra idea di scuola, nella quale, certo, non ci riconosciamo, non è la scuola che, come comunità educante, abbiamo cercato di costruire con passione e dedizione nel corso di tanti anni.
Al centro della nostra azione didattico-educativa noi mettiamo sempre lo studente, innanzitutto come persona, e l’obiettivo chiaro di tale azione è sempre stato il suo successo formativo, nel rispetto dei tempi e degli stili di apprendimento di ciascuno.
La scuola in cui ci riconosciamo è quella dell’inclusione e della formazione, della quale continueremo a difendere i principi che da sempre abbiamo condiviso tra di noi e con le famiglie dei nostri studenti",.